La Casa delle Donne nel 2013 è stata aperta per 363 nuove «vittime».
Sebbene oggi sia diventata una festa e, nei casi peggiori, un mero momento consumistico di mimose e regalini più o meno banali, l’otto marzo ha origini tragiche, con la strage avvenuta ai primi del Novecento o i oltre cento operaie tessili in sciopero e che, l’otto marzo, persero la vita durante un rogo sviluppatosi all’interno della fabbrica dove il loro padrone le aveva rinchiuse. L’origine tragica perdura anche oggi, anche se la drammaticità attualmente riveste le forme del cosiddetto femminicidio, assassinii di donne da parte dei loro compagni che avvengono ogni giorno in tutto il mondo, Brescia inclusa.
Lo sanno bene alla Casa delle donne, storico centro antiviolenza della nostra città che da venticinque anni accoglie le donne vittime di violenza e cerca di dar loro aiuto. Dal1989 ad oggi sono state accolte più di 5000 donne in difficoltà, con un numero sempre crescente di donne straniere. l dati del 2013 pubblicati sul sito dell’associazione, descrivono una situazione drammatica: le donne accolte nella sede in via San Faustino 38 sono state un totale di 363 (in aumento rispetto agli anni precedenti), di cui 243 di nazionalità italiana, 91 di nazionalità extra europea e solo 29 di altre nazionalità appartenenti all’Unione Europea. Gli autori dei comportamenti violenti sono in totale 330, di cui , 249 italiani, 74 non europei e 7 di uomini appartenenti all’Ue. Nel 52 per cento dei casi il maltrattatore è il marito, nel 12 il convivente, 20 l’ex, 5 un conoscente, 3 un partente, 2 uno sconosciuto, per il 2 per cento genitori o il figlio, uno il partner del genitore, uno il fratello uno il figlio: insomma la stragrande maggioranza dei casi uomini che dovrebbero amare le donne e che, invece, le picchiano.
LE VOLONTARIE della Casa delle Donne mettono tutta la loro energia nel cercare di contrastare questa violenza, con attività di ascolto telefonico, consulenza legale e psicologica, interventi formativi/informativi nelle scuole ma anche partecipazione a convegni e dibattiti pubblici e organizzazione di tanti corsi: il prossimo prenderà il via tra pochi giorni, il 13 marzo, e per 4 serate, si svolgerà il corso di approfondimento <<La Violenza nei Legami d’Amore>>. Infine, nonostante il contesto sconfortante, la Casa delle Donne a volte fa festa: come ieri, quando le volontarie si sono trovate assieme ad altre persone che sostengono l’associazione, al circolo Uisp Vivicittà, per una cena di raccolta fondi e, in precedenza, con una performance di danza da parte del gruppo <<Danza Lab>> in concomitanza con l’inaugurazione della mostra: <<Balie Italiane & colf straniere: migrazioni al femminile nella storia della società italiana>>, trenta pannelli che documentano il fenomeno che ha avuto come teatro l’Italia. La mostra è visitabile in via Maggi lunedì e venerdì dalle 9 alle 15, martedì e sabato dalle 9 alle 19, mercoledì dalle 15 alle 19. IR.PA.
(fonte articolo: BresciaOggi, foto)
Alcune fotografie scattate durante l’inaugurazione della mostra fotografica “Balie Italiane & Colf Straniere“, con in contemporanea una performance di danza, realizzata da “Danza Lab”: un omaggio alla figura femminile.
Si parla molto di violenza di genere, ma poi? Per fare il punto della situazione sul fenomeno e ragionare sulle conseguenze che provoca anche sul nostro territorio, “Brescia per Passione” ha organizzato un convegno dal titolo “Nemmeno con un fiore”, che si è svolto ieri sera nella sala Piamarta di via San Faustino. L’associazione creata da Laura Castelletti ha da sempre concentrato parte della sua attenzione verso le tematiche femminili, sforzandosi di sensibilizzare e informare l’opinione pubblica e cercando di favorire aiuti concreti alle realtà che se ne occupano, interpretandone i bisogni pratici.
A discutere della questione sono state chiamate Mariagrazia Fontana, chirurgo degli Spedali Civili, che presta servizio all’interno del Pronto Soccorso e Piera Stretti, presidente della “Casa delle Donne”, da venticinque anni impegnata nella battaglia a difesa e a tutela delle donne vittime di soprusi.
«Al Civile è attivo un protocollo per accogliere al meglio le donne che chiedono assistenza medica in seguito a una violenza subita, gestire correttamente questi casi richiede una competenza specifica e una formazione adeguata su questo tema», ha esordito la dottoressa Fontana, ricordando che «i soggetti interessati sono chirurghi, ginecologi, medici legali, chi si occupa della profilassi che fa seguito a un abuso sessuale, gli incaricati delle dimissioni, gli operatori della Questura o i carabinieri che raccolgono le denunce». Negli ultimi quattro anni i casi trattati nel nostro principale ospedale sono stati ben 798, il 9,4% riguardanti episodi di violenza sessuale, il 70% circa inerenti a percosse e il restante 20% a maltrattamenti. Per tre volte l’accusa nei confronti del responsabile è stata di tentato omicidio.
È AUMENTATO negli anni il numero di donne straniere, diventate circa il 40% del totale, che si rivolgono ai sanitari per ricevere cure appropriate. «Io credo che dipenda dal grosso lavoro che abbiamo svolto con i Comuni e nelle scuole – ha spiegato Fontana – voglio sperare che ciò abbia conferito a molte ragazze e donne straniere una maggior consapevolezza dei loro diritti, se per noi italiane è difficile affrontare un argomento così spigoloso, immaginiamoci cosa possa significare per una donna pakistana, indiana o araba. Differenze culturali profondissime richiederebbero una mediazione culturale, io stessa dovrei essere meglio preparata sul concetto di violenza declinato secondo i loro canoni».
Un tempo si riteneva che la violenza sessuale fosse unicamente praticata da soggetti cosiddetti esterni, mentre spesso si verifica all’interno di un rapporto di coppia. Solamente da poco esiste la consapevolezza diffusa che un amplesso imposto da un marito o da un compagno costituisce un reato e non si tratta di un atto dovuto. Lo ha voluto sottolineare all’inizio del suo intervento Piera Stretti, che attraverso una serie di slide ha presentato un excursus completo sulla violenza di genere nelle sue diverse declinazioni, dalla psicologica all’economica: «Non va confusa con la violenza domestica, una distinzione determinata dalla convenzione di Istanbul, la prima è effettuata contro donne perché ritenute esseri inferiori al proprio servizio, mentre la seconda si verifica all’interno della coppia e vede la donna oggetto di violenza fisica, magari perpetrata dai genitori su figlie minori». Diverso è il semplice conflitto all’interno di una coppia, dove i due partner hanno pari potere contrattuale ed entrambi sono protagonisti di una guerra, che può diventare violenta ed essere portata all’estremo. Le parole chiave per affrontare e vincere questa battaglia di civiltà sono, secondo Stretti, “protocollo e rete”. Le leggi nazionali e la regionale prevedono che gli interventi siano effettuati in modo integrato e in modo condiviso da tutti i soggetti chiamati a operare.
LA LEGGE LICENZIATA dal consiglio regionale obbliga alla stipula di un protocollo che abbia come capofila il Comune per accedere ai fondi messi a disposizione, un percorso mai completato a Brescia e necessario secondo Stretti. Manca il sigillo della Loggia, senza il quale gli altri attori coinvolti (mondo socio sanitario, apparati di sicurezza, sistema giudiziario e centro anti violenza) non possono formalizzare la loro sinergia. Nel frattempo è stato inaugurato nel Palazzo di giustizia uno sportello dedicato alle donne vittime di questo odioso genere di crimine: tre operatrici della “Casa delle Donne” mettono volontariamente a disposizione la loro esperienza maturata nella struttura di via San Faustino.
La serata ha anche visto Laura Mantovi offrire alla platea un toccante monologo in cui è elencato il triste, lungo e dolorosissimo elenco delle vittime di femminicidio dell’anno scorso in Italia. L’attrice ha definito la sua performance «un dovere civico e morale, lo recito sognando di non doverlo più fare».
Mauro Zappa
Anche l’Associazione di Brescia Casa delle Donne – rappresentata da Maria Teresa Cannone – fa parte del Tavolo contro la violenza sulle donne che si è insediato nella mattina di lunedì 25 novembre, alla presenza dell’assessore regionale alla Casa, Housing sociale e Pari opportunità Paola Bulbarelli, che lo presiede.
Il Tavolo permanente per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne, previsto dalla Legge regionale 11/2012, è composto da 24 membri, 12 dei quali rappresentano le Istituzioni (sistema sanitario, Questura, Tribunale, Enti territoriali, Istituto scolastico regionale) e gli altri 12 (uno per provincia) il sistema associativo.
«Non poteva certo esserci data più significativa di quella del 25 novembre», ha detto Bulbarelli, presentando i componenti, «per insediare il Tavolo. In tutto il mondo oggi si ricorda che la violenza contro le donne costituisce una violazione dei diritti umani, un attacco alla inviolabilità, alla dignità e alla libertà della persona».
Bulbarelli ha auspicato che l’insediamento del Tavolo aiuti e favorisca la realizzazione di nuovi Centri antiviolenza, visto che il Lombardia ce ne sono solo 16 (a Brescia, l’unico è la Casa delle Donne), mentre l’Europa dice che dovrebbero essere 200. L’assessore ha poi ricordato i recenti stanziamenti di 1,25 milioni di euro a sostegno delle iniziative delle reti territoriali e dei soggetti che desiderano presentare progetti di parità.
(Fonte articolo: QuiBrescia.it)
Ma era solo uno schiaffo. Lei sa che la sera torno stanco e continua lo stesso a stressarmi». «Quando mio figlio mi ha detto ‘papà basta fai piano’ ho capito che così non potevo andare avanti». «È vero l’ho aggredita, ma l’ho fatto per difendermi». Bisognerebbe provare a immaginarle, le espressioni dei centinaia che negli ultimi anni hanno bussato alla porta dei (pochi, 14 in tutta Italia) centri di ascolto per uomini che maltrattano le donne. Nessuno di loro si percepiva come un violento.
Italiani e stranieri, dai 35 ai 75 anni – «ma ultimamente colpisce la violenza anche tra ragazzi giovani» -, di tutte ma proprio tutte le estrazioni sociali. C’è il militare che butta a terra la moglie davanti alla bimba, e si spaventa del suo spavento, «oddio non pensavo di poter fare una cosa del genere». C’è il professionista esasperato, «non ne posso più dei litigi con la mia compagna», preoccupato di avere perso il controllo. Loro si sono fermati in tempo. Ma c’è anche il lavoratore marocchino, che solo dopo mesi di colloqui rievoca una scena agghiacciante: «Abbiamo iniziato a discutere in cucina, ero geloso e lei si è rifiutata di farmi controllare il cellulare. Ho visto che c’era un coltello, l’ho preso e gliel’ho dato addosso. Ho capito cosa stavo facendo solo quando ho visto il sangue…».
Voci tutte diverse e tutte uguali, unite dalla violenza. All’inizio solo verbale, ma poi dalle urla si passa ai piatti rotti, agli oggetti lanciati, alle sberle, agli strattonamenti. A volte al peggio. Un punto di vista che ancora manca, nel dibattito sulla violenza contro le donne. Ma che invece sarebbe fondamentale esplorare, se davvero si vuole tentare di prevenire gli esiti più terribili in tanti, troppi rapporti di coppia. È la riflessione proposta dal gruppo Abele, da 40 anni attivo nella difesa delle vittime di violenza e di sfruttamento sessuale, oggi e domani ad Avigliana (To), con un seminario che per la prima volta accende i riflettori sull’altro lato del problema. E sui centri che lo affrontano.
NEGARE E MINIMIZZARE
Lo sa bene Michela Bonora, assistente sociale. Impegnata nel progetto di training antiviolenza attivo dal 2010 nel Consultorio per uomini della Caritas di Bolzano, e insieme alla clinica Mangiagalli di Milano dove vede sfilare le vittime della violenza maschile, «oltre 500 l’anno. Sono questi i numeri che porto agli uomini che seguo con un collega psicologo, serve a riportarli a una realtà che negano». «L’approccio è sempre quello: negare e minimizzare la violenza, dire ‘è solo uno schiaffo’, spesso scaricando la responsabilità del conflitto sulla donna», conferma Domenico Matarozzo, counselor dell’associazione Cerchio degli uomini che da quasi 5 anni ha in gestione lo sportello di ascolto per il disagio maschile, aperto dalla Provincia dentro al Centro per le relazioni e le famiglie del Comune di Torino. Si è confrontato con oltre un centinaio di uomini, i primi sono arrivati dopo aver visto il volantino nella Asl o in farmacia, poi ha funzionato il passaparola. Mesi di colloqui, per qualcuno anche l’esperienza di un lavoro di gruppo, «in cui portiamo esempi positivi su come affrontare i conflitti, gestire la propria rabbia, riconoscere le proprie emozioni». E alla fine una certezza: «C’è un netto miglioramento in chi si rivolge a noi. E le violenze fisiche cessano».
Per arrivare a questo però occorrono tempo e motivazioni, spesso date dai figli. «C’è da mettere in discussione un intero modello culturale. Da noi arrivano persone normalissime, ma impregnate di una cultura machista. Che non si manifesta solo nel rapporto con la moglie, ma sul lavoro o in altre situazioni». A spingerli lì spesso è la compagna, un avvocato un terapeuta. In altri centri le proporzioni si invertono, e si arriva più che altro ‘inviati’ da servizi sociali o Tribunale dei minori. In questi casi la negazione dell’accaduto è ancora più forte, «non ho fatto quello di cui mi accusa mia moglie, non capisco perché sono qui». Poi, magari raccontando davanti ad altri certi episodi, «è come se percepissero la violenza per la prima volta – spiega Bonora -, solo allora subentrano senso di colpa e vergogna. Ma occorrono mesi. Considerano normali certi comportamenti finché lei non va via di casa, o non vedono gli effetti fisici della violenza».
«Chi è abituato al codice della violenza, quando finisce una storia ne inizia un’altra improntata agli stessi errori – avverte allora Ornella Obert, giurista del gruppo Abele -. Ricordo poi che la durata media di un processo penale per maltrattamenti è di 8 anni: un tempo ‘congelato’ per la legge, in cui però le relazioni vanno avanti e ad esempio il coniuge violento mantiene la patria potestà. Ecco perché è fondamentale lavorare sulla prevenzione». In questo senso, «bisogna che la politica faccia la sua parte. Ha iniziato con la legge sul femicidio, che apre spiragli interessanti. Si potrebbe pensare ad esempio, quando le forze dell’ordine attuano il nuovo allontanamento da casa del marito violento, di proporgli un percorso in questi centri di ascolto».
(Articolo di Adriana Comaschi, fonte: L’Unità 13.11.13)
Con questione femminile ci riferiamo spesso alla violenza domestica e agli abusi sessuali. Ma Jackson Katz, in questo audace e schietto discorso, sostiene che in fondo si tratta di problemi maschili – dimostrando come questi comportamenti violenti siano legati alla definizione di virilità. Un richiamo forte e chiaro per tutti noi – donne e uomini – a denunciare questi atteggiamenti inaccettabili e a essere i leader del cambiamento.
Fonte articolo: Ted.com
Con “Fallen Princess“, progetto realizzato nel 2007, ha rappresentato in chiave ironica le protagoniste delle fiabe, mostrando cosa probabilmente accadrebbe loro nella vita reale, senza la patina fiabesca e romantica che le ha sempre caratterizzate.
Ed è così che scopriamo Biancaneve, moglie trascurata da un marito nullafacente e madre a tempo pieno, oppure la Sirenetta esposta in un acquario, Pocahontas rinchiusa in casa con i suoi innumerevoli gatti, ma anche Jasmine e Raperonzolo, obbligate a lottare per la loro stessa vita, la prima in guerra, la seconda contro un grave problema di salute.
Col secondo progetto realizzato nel 2012 “In The Dollhouse“, l’attenzione è incentrata sulla coppia più famosa e ammirata dalle bambine (ma non solo): Barbie e Ken.
In questi scatti viene mostrata la loro vita apparentemente perfetta, che cela in realtà solitudine, insoddisfazione e tristezza, per via dei ruoli/canoni imposti comunemente ad entrambi i personaggi: moglie e donna perfetta, marito e uomo perfetto. Situazione che allo scatto finale porterà ad un tragico epilogo.
Intervista alla fotografa:
Cosa ha ispirato questo lavoro?
Sono state le mie figlie a ispirare entrambi i lavori. Ho cominciato a pensare a Fallen Princess quando mia figlia Jordan aveva 3 anni e contemporaneamente a mia madre era stato diagnosticato un tumore al seno. Jordan era nella fase “principessa” e noi leggevamo, guardavamo ed eravamo sopraffatte dalle principesse di Walt Disney. Ho cominciato a immaginare ciascuna di loro come un’adulta con i suoi problemi. Come sarebbe stato se fossero state donne reali che vivono le sfide del mondo e si confrontano con i temi contemporanei?
In the Dollhouse è la continuazione del mio studio dei giochi di massa e delle icone femminili. Mia figlia Zoe è saltata direttamente alle Barbie seguendo sua sorella più grande, che con le bambole mette in scena personaggi e storie. Nonostante il mio lavoro esamini come le menti più giovani, soprattutto femminili, siano influenzate da queste figure culturali, in realtà il mio è un progetto creato per gli adulti e non per i bambini.Credi nella coppia perfetta?
Assolutamente no! E lo dico perché la perfezione non esiste! La perfezione è un’illusione. Sto con mio marito da vent’anni e parlo quindi per esperienza diretta. Un buon matrimonio richiede lavoro. Si tratta di due individui che vivono insieme e respirano sempre la stessa aria. Si parla di compromesso e compassione. E tolleranza… Molta tolleranza. Jonas, mio marito, ha una lista di cose su cui vuole che io lavori. E io ho la mia lista per lui! Ora come ora abbiamo dei bimbi piccoli e quindi la nostra priorità è la sopravvivenza!Consigli per essere una donna autentica?
Oggi il mio consiglio per le giovani donne è di concentrarsi su ciò che ami e provare a farne il tuo lavoro. Focalizzati sulle tue qualità migliori e sii realista sui tuoi talenti. L’etica del lavoro è importante. Sii disposta a sperimentare ogni specie di lavoro, più o meno importante che sia. E sii paziente, perché ci vorrà un po’ prima che tu ne possa trarre beneficio. Credo che con la formazione e la determinazione ciascuno di noi possa diventare ciò che desidera.
Intervista rilasciata a Cosmopolitan.it.