Per ricordare una cara amica che non c’è più con un progetto a suo nome.
La donazione a Casa delle Donne deve indicare esplicitamente nella causale: ” Per Simona”.
in ricordo
Cara Doris, l’oro del tuo taccuino continuerà a splendere, l’erba a cantare…
«In poche parole, avevo cominciato a colorare la mappa del mondo con le tinte e i colori della letteratura. Questo produce due effetti (almeno). Uno è quello di perfezionare la conoscenza che si ha dei propri simili, gli essere umani. L’altro è quello di farti conoscere società, paesi, classi sociali, modi di vivere.»
Doris May Tayler nasce il 22 ottobre 1919 in Persia. Il padre, Alfred Cook Tayler, era stato ufficiale dell’esercito britannico nella prima guerra mondiale e, dopo aver sposato la madre di Doris, infermiera, si trasferisce nell’attuale Iran dove lavora come impiegato in banca. Dopo pochi anni, la famiglia si trasferisce nella colonia britannica della Rhodesia meridionale (l’attuale Repubblica dello Zimbabwe, indipendente dal 1965) dove gestisce, con scarso successo, una coltivazione di mais. Doris Lessing trascorre l’infanzia in fattoria e riceve una breve formazione scolastica, prima in un convento cattolico (nonostante la famiglia sia protestante) poi in una scuola femminile, ma l’esperienza educativa è per lei sgradevole e deludente. A tredici anni, quindi, decide di abbandonare l’istruzione ufficiale e prosegue, da quel momento, da autodidatta.
Il 1932 è l’anno in cui Lessing combatte – questi sono i termini in cui ne parla – per difendere la propria vita da sua madre: ha 14 anni e l’ingresso effettivo nell’adolescenza non fa che accentuare quei contrasti che caratterizzano da sempre la relazione tra le due (tema centrale poi in molti suoi romanzi). L’anno successivo, nel 1933, lascia la fattoria e si trasferisce a Salisbury dove trova un impiego come bambinaia. La famiglia presso la quale lavora si fa arrivare dall’Inghilterra libri di politica e di sociologia che Doris ha la possibilità di leggere. Il suo interesse per questioni sociali e politiche (si scaglia contro la segregazione razziale e contro le consuetudini discriminatorie dei colonizzatori verso la popolazione indigena), fino ad allora solo frutto di un’inclinazione emotiva, trova finalmente fondamento razionale. In quei giorni ha inizio anche ciò che lei stessa definisce come un periodo «in balia di un ardente desiderio erotico, che aveva preso il posto delle passioni romantiche della [sua] infanzia». A questo desiderio si accompagna una crescita nella consapevolezza matura del proprio corpo: sia i risvolti sessuali della sua esistenza, sia il rapporto non sempre sereno con il proprio fisico ritornano prepotentemente nell’opera di Lessing che non manca di includere nei suoi romanzi anche gli aspetti corporei della crescita dei personaggi, evidenziando la possibilità di restituire loro quella naturalezza soffocata dalla società moderna.
Dopo un periodo di lavoro come centralinista, si sposa nel 1939 con Frank Charles Wisdom. Nascono due bambini, John e Jean, ma il matrimonio si rivela un fallimento al quale essa stessa decide di porre fine nel 1943 lasciando marito e figli. In quello stesso periodo nasce in lei il fervore politico che la porta a tesserarsi al Partito Comunista.
«Si diventava comunisti per una forma di cinismo nei confronti del proprio governo – questa era la prima cosa. O perché ti eri innamorato di una comunista, com’era successo a Gottfried Lessing. O perché qualcuno ti portava a un raduno e ti sentivi travolto da un’emozione collettiva. Perché ti avevano portato a un raduno di partito e avevi trovato affascinante l’atmosfera di cospirazione. O per l’idealismo che c’era nel partito. Perché avevi una predilezione per l’eroismo o la sofferenza. Nel mio caso fu perché per la prima volta nella mia vita incontrai un gruppo di persone (e non individui isolati) che leggevano di tutto, non pensavano che leggere fosse una cosa straordinaria, e per le quali alcune mie riflessioni sulla questione indigena, che a stento avevo osato esprimere ad alta voce, erano semplici luoghi comuni. Diventai comunista a causa dello spirito dei tempi. A causa dello Zeitgeist.»
Lessing si adopera in particolare per la causa africana a favore della quale continuerà a battersi anche dopo aver lasciato il Partito, nel 1954.
Sempre nel 1943 sposa Gottfried Lessing, dal quale prende il cognome. I due hanno un figlio, ma anche questa relazione finisce rapidamente; una volta ottenuta l’autorizzazione a trasferirsi in Inghilterra, nel 1949, si separano e lei va a Londra portando con sé il figlio Peter. È solo allora che ha inizio la sua carriera di scrittrice; già molti anni prima si era cimentata in un paio di romanzi ma il risultato era stato insoddisfacente.
Ha inizio insomma il lavoro di una fra le più grandi scrittrici del Novecento, prolifica per quantità e ricchezza tematica e stilistica. Doris Lessing ha anticipato temi e discorsi che sarebbero diventati centrali nella società solo tempo più tardi, quelle crisi che hanno poi determinato nuovi orientamenti sociali e culturali: la donna in relazione alla società, alla famiglia e alla politica; la questione delle condizioni sociali e politiche degli africani nelle colonie e l’ingiustizia del sistema di potere politico dei bianchi (per queste critiche, nel 1956 viene bandita da Zimbabwe e Sudafrica dove fa ritorno solo nel 1995); il coinvolgimento politico individuale e il rapporto del singolo nella società.
Nel 1946, incinta del terzo figlio, scrive il primo romanzo L’erba canta – contro la segregazione razziale in Rhodesia – e lo pubblica nel 1949. Ne segue Martha Quest, il primo volume della serie Figli della violenza composta da cinque romanzi (Martha Quest, Un matrimonio per bene, Echi della tempesta, Landlocked e The Four-Gated City) che escono tra il 1952 e il 1969. In questo arco di tempo scrive altre opere tra le quali spicca Il taccuino d’oro del 1962: documento e testimonianza del clima intellettuale e morale dell’Inghilterra della metà del Novecento.
Negli anni Settanta la produzione di Doris Lessing si sposta dalla condizione sociale dell’individuo alla condizione mentale delle donne e degli uomini che vivono in una società tecnologicamente avanzata: Discesa all’inferno, Memorie di una sopravvissuta e Summer Before the Dark esplorano il confine tra la normalità e la follia e lo sviluppo di facoltà extrasensoriali.
Cruciale è la riflessione sul linguaggio: nelle opere precedenti usato come veicolo onesto e naturale per comunicare un significato, qui invece oggetto stesso della narrazione che diventa un viaggio alla ricerca di significato.
Nelle opere pubblicate tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, Doris Lessing sperimenta il genere della fantascienza: nei cinque romanzi della serie Canopus in Argo: Archives series l’autrice reinventa la storia della Terra, dalle origini all’età contemporanea, attingendo anche a elementi fantasy d’ambientazione medievale, ricostruendo un mondo fatto di re, regine, matrimoni e missioni avventurose.
Solo nel 1985, con la pubblicazione de La brava terrorista, e nel 1988 con Il quinto figlio, la scrittrice ritorna alle origini realiste: anche se gli ideali del dopoguerra si sono rivelati puramente utopici e hanno fallito nella loro missione (sia quelli politici – l’occupazione di una casa a Londra ne La brava terrorista – sia quelli familiari – i due protagonisti de Il quinto figlio che decidono di dedicarsi esclusivamente all’educazione dei figli), ciò che conta è la possibilità individuale di agire per ricostruire una dimensione sociale e politica di umanità, fondata sulle relazioni, sia nel piccolo ma quanto mai articolato e complicato universo familiare (La cosa più dolce), sia in quello collettivo più ampiamente inteso. Proprio le relazioni umane, descritte nei dettaglio attraverso i gesti della quotidianità, diventano rimedio, rifugio e riscatto a fronte di una storia o un destino – anche biologico, come in Se gioventù sapesse – segnati dalla tragedia, ma che a essa non si arrendono. La sua scrittura, senza apparire mai pretenziosa né alla ricerca di uno stile letterario, restituisce il complesso di questa specie di eroismo che è la vita stessa come in un velo impalpabile che si carica, per il lettore, di una straordinaria consistenza: è una tessitura fitta e lieve, instancabile, nella quale ogni dimensione dell’esistenza viene evocata e collegata alle altre, senza possibilità di districare l’una dall’altra: i gesti, come abbiamo detto, ma anche le sensazioni, i pensieri, le cornici cognitive entro cui si srotolano le esperienze e gli accadimenti cui vanno incontro i suoi personaggi.
Nel 1994 e nel 1997 Doris Lessing pubblica due volumi della sua autobiografia: Sotto la pelle (1919-1949) e Camminando nell’ombra (1949-1962) ma non scrive il terzo e ultimo, come aveva progettato in un primo tempo. Nel 2000 esce il seguito de Il quinto figlio, Ben nel mondo e nel 2001 Il sogno più dolce. L’ultimo romanzo, pubblicato nel 2008 è Alfred e Emily che racconta la storia dei genitori dell’autrice.
Ha pubblicato anche numerose raccolte di racconti, tra cui: L’abitudine di amare (1957), Racconti africani (1964), Gatti molto speciali (1967); La storia di un uomo che non si sposava (1972); Racconti londinesi (1992) e Le nonne (2003); ha scritto anche saggi sociopolitici come Le prigioni che abbiamo dentro (1987) e Sorriso africano. Quattro visite nello Zimbabwe (1992).
Nel corso della sua carriera è stata oggetto delle attenzioni di un pubblico internazionale, attraverso le numerose traduzioni delle sue opere, ma anche a livello accademico già a partire dagli anni Cinquanta con il premio Somerset Maugham, il primo di una serie nutrita di riconoscimenti: nel 1995 riceve una laurea ad honorem dall’Università di Harvard, nel 1999 viene proclamata Companion of Honour, onore attribuito dal Regno Unito a chi ha svolto un servizio nazionale di particolare rilievo, nella stessa occasione rifiuta la carica di Dama dell’Impero Britannico, mettendo in discussione l’effettiva esistenza di tale Impero, coerente con la propria convinzione politica di tutta la vita. Nel 2001 vince il Premio Principe de Asturias per le sue opere in difesa della libertà e del Terzo mondo, lo stesso anno viene premiata con il Grinzane Cavour e riceve anche il premio letterario britannico David Cohen. Nel 2007 riceve il Premio Nobel per la Letteratura con questa motivazione: «Questa cantrice dell’esperienza femminile, con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa»
(Fonte: www.enciclopediadelledonne.it)
Addio a Margherita Hack, una di noi.
Margherita nacque a Firenze proprio alla vigilia del ventennio fascista, in una casa poco lontana da Campo di Marte, allora un enorme prato utilizzato anche come aeroporto per piccoli aerei con ali di tela pilotati dal mitico Magrini. Figlia unica, era una bambina solitaria, con pochi amici. Suo padre fu il suo primo, e spesso unico, compagno di giochi. Era stato infatti licenziato quando Margherita aveva quattro o cinque anni perché non iscritto al partito fascista, e da allora non ebbe mai più un lavoro fisso. Era la madre a mantenere la famiglia: diplomatasi all’Accademia di Belle Arti, dipingeva miniature dei quadri degli Uffizi che vendeva ai turisti. Dopo la scuola elementare, che compì quasi del tutto da privatista, Margherita si iscrisse al ginnasio Galileo Galilei, il più antico di Firenze. A scuola andava bene e trascorreva tutto il tempo libero all’aperto, per esempio al giardino pubblico del Bobolino. Fu qui che un giorno del 1933 incontrò Aldo De Rosa, allora tredicenne, che diventerà il suo compagno di vita. Si sposeranno nel 1944.
Lo sport entrò nella vita di Margherita un po’ per caso, quando le chiesero di partecipare ai Giochi della Gioventù. Sebbene questa prima prestazione, improvvisata, fosse un vero disastro, iniziò ad allenarsi e ottenne ottimi risultati nel salto in lungo e nel salto in alto. Anche la bicicletta l’appassionava. Gliel’avevano regalata i suoi genitori per l’ammissione alla prima liceo e da allora divenne il suo mezzo di trasporto preferito. Antifascista convinta durante il liceo, vide i suoi compagni e professori ebrei cacciati da scuola da un giorno all’altro, in conseguenza delle infami leggi razziali, e quando l’Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940 strappò la bandierina italiana che aveva attaccato alla bicicletta.
Oggi è conosciuta come una delle maggiori scienziate italiane, ma alla scienza ci arrivò abbastanza per caso.
Già la scelta della facoltà universitaria non fu dettata da una passione per la scienza. Su suggerimento dei suoi genitori si iscrisse prima a Lettere perché era brava nei temi e le piaceva scrivere le cronache delle partite di calcio della Fiorentina dopo averle lette sulla «Nazione». Che la facoltà di Lettere non fosse la scelta giusta ci mise poco a capirlo: alla prima lezione si annoiò talmente che decise di passare a Fisica dove c’era una sua amica di liceo. Man mano che proseguiva nei corsi, però, Margherita si dimostrava migliore della maggior parte dei suoi compagni e lo studio la divertiva: aveva fatto la scelta giusta. Il primo incontro con l’astronomia e l’astrofisica furono le lezioni del prof. Giorgio Abetti, esperto di Sole, e del suo assistente Mario Fracastoro. In ogni caso non fu un colpo di fulmine e inizialmente Margherita non pensava che alle stelle e all’universo avrebbe dedicato più di cinquant’anni di vita. Fu di nuovo un po’ per caso che cominciò a occuparsene più seriamente quando si trattò di scegliere un argomento per la tesi. Non volendo una tesi compilativa, che l’avrebbe obbligata a un lavoro per biblioteche, l’unica possibilità era proprio l’astronomia sotto la direzione di Fracastoro, allora un giovane assistente entusiasta e pieno di energia. Così, senza nemmeno che se ne rendesse conto, le si aprirono le porte della sua professione futura. Il periodo di tesi coincise con gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. La sera del 7 agosto 1944 i tedeschi si ritirarono da Firenze. Distrussero tutti i ponti sull’Arno a eccezione del Ponte Vecchio. La mattina dopo centinaia di persone scesero in strada ad acclamare gli Alleati che entrarono nella parte sud della città. Lunghe colonne di camion sfilarono nelle strade distrutte. Ci vollero altre due settimane perché riuscissero a passare sull’Arno e a liberare anche il centro e la periferia nord. Il lavoro di tesi rimase indietro, un po’ perché il telescopio necessario per le osservazioni non era in funzione e un po’ perché le necessità quotidiane (procurarsi l’acqua, la legna per il fuoco ecc.) portavano via tempo ed energie. Nel gennaio 1945 l’Università riaprì e Margherita poté finalmente laurearsi.
Nel frattempo Margherita e Aldo si erano anche sposati. Dopo il periodo dei giochi si erano persi di vista per una decina d’anni. Quando si ritrovarono però nacque un sodalizio di affetto e di interessi intellettuali e culturali che li portò in modo naturale al matrimonio, che avvenne il 19 febbraio 1944 nella bellissima chiesetta bizantina di via San Leonardo. Il matrimonio religioso fu una scelta di Aldo alla quale Margherita, convinta atea, dovette adeguarsi. Una cerimonia breve, senza messa, né comunione, né vestito bianco, niente viaggio di nozze e un pranzo da soli con cibo razionato, essendo in tempo di guerra. Andarono a vivere nella casa dei genitori di Margherita, in via Ximenes, grande abbastanza e con il giardino e il pozzo con l’acqua. Di case Margherita e Aldo ne hanno cambiate molte in Italia e all’estero, ma un tratto le accomuna: sono sempre state semplici, senza fronzoli inutili, spaziose quanto basta per far posto ai libri e agli animali, cani e gatti a cui hanno sempre dato ospitalità.
Ma anche la laurea non determinò per lei una sua collocazione definitiva nella comunità scientifica internazionale. Il suo primo lavoro, infatti, non aveva niente a che fare con la ricerca in astronomia. Cominciò con un breve periodo di insegnamento all’Istituto di Ottica, e poi si trasferì a Milano per lavorare alla Ducati: il suo compito era scrivere le istruzioni per una nuovissima macchina fotografica, la Sogno, allora molto all’avanguardia.
Intanto studiava per il concorso per diventare astronomo, che però andò male perché Margherita non seppe rispondere alla domanda “Perché la Luna ci rivolge sempre la stessa faccia?”. Non ci aveva mai pensato e così fallì la prova. Ritornata a Firenze, riprese le lezioni all’Istituto di Ottica e all’Osservatorio Astronomico di Arcetri. Era “precaria” come si direbbe oggi e guadagnava ventimila lire al mese.
Divenne finalmente assistente di Fracastoro che a sua volta era diventato professore. Cominciò la sua prima ricerca autonoma sulla stella Zeta Tauri, molto calda e con un comportamento strano che meritava un approfondimento. In breve ottenne dei risultati interessanti e si convinse così di essere una vera scienziata.
La libertà con cui Margherita ha potuto seguire la sua carriera scientifica è dovuta anche allo straordinario rapporto con il suo compagno, Aldo. Lui, letterato con una cultura ampia e multiforme, ha sempre coltivato i propri interessi privatamente, senza una professione che lo legasse a un lavoro fisso. Ha così potuto seguire Margherita nelle sue pellegrinazioni in giro per il mondo. Nei primi tempi hanno vissuto a Parigi, dove Margherita aveva una collaborazione con l’Institut d’Astrophysique che negli anni Cinquanta era uno dei migliori del mondo. Poi andarono a Merate, succursale dello storico Osservatorio Astronomico di Brera, in Olanda a Utrecht, e infine a Berkeley in California. Nel 1959 ritornarono stabilmente in Italia, prima a Merano e poi Trieste dove Margherita divenne direttore dell’Osservatorio nel 1963. In quel periodo cominciò anche a occuparsi di organizzazione della ricerca ed entrò in vari organismi e comitati nazionali che servirono a dare una sistemazione moderna alla scienza nazionale.
L’Osservatorio di Trieste all’inizio degli anni Sessanta era il peggiore d’Italia. Sotto la direzione di Margherita cominciò ad attrarre giovani da tutto il mondo e in pochi anni si trasformò in una moderna struttura di ricerca guadagnando rispetto a livello internazionale. Nel 1967 cominciò anche la costruzione della nuova sede con strumentazione adeguata sul Carso triestino, dove il cielo è limpido e le luci della città non arrivano a disturbare le osservazioni. Il suo compito fu facilitato dal fatto che a Trieste, su impulso del fisico Paolo Budinich, si stavano realizzando una serie di istituzioni scientifiche internazionali che avrebbero portato un flusso di persone e di idee da tutto il mondo e avrebbero trasformato Trieste in una vera e propria “città della scienza”.
Nei suoi anni di direttore, Margherita ha lottato per non farsi divorare dalla burocrazia, per ritagliarsi il tempo per continuare a fare ricerca. Nel periodo immediatamente successivo al movimento studentesco del ’68, sperò che una ventata di democrazia vera potesse entrare nel mondo accademico e rinnovarlo. Nel 1984, quando lasciò la direzione, all’Osservatorio di Trieste lavoravano più di ottanta persone e si conducevano ricerche tra le più avanzate, attraverso una rete di collaborazioni che coinvolgevano scienziati da tutto il mondo. Sono stati vent’anni di scoperte fondamentali per l’astrofisica e Margherita è soddisfatta di avere dato il suo contributo a tutto ciò. Man mano che il suo ruolo come scienziata attiva diminuiva, sono cresciuti i suoi impegni politici, civili, nella divulgazione. Dal 1997, quando è andata in pensione a 75 anni, non ha più un minuto libero! È ancora una persona attiva e impegnata: “Novant’anni, — dice — sembra ieri e sembra mille anni fa!”. Ci ha lasciato il 29 giugno del 2013.
Il 25 Novembre rappresenta dal 17 Dicembre 1999 la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
La scelta del 25 novembre viene fatta a Bogotà nel 1980, dove si tiene il primo Incontro femminista internazionale. Le partecipanti accettano la proposta della delegazione Dominicana di rendere omaggio alle sorelle Mirabal brutalmente assassinate il 25 novembre del 1960 per ordine del dittatore Trujillo.
Le sorelle Mirabal nacquero a Ojo, nella Repubblica Dominicana, da una famiglia benestante, erano quattro: Patria, Maria Teresa, Minerva e Belgica Adele, vivente. Vissero la loro gioventù negli anni della dittatura trujillista, una delle più severe dell’America Latina. Questo tirannico e brutale ambiente politico e sociale, risvegliò molto presto le loro coscienze sulla necessità di libertà e rispetto dei diritti delle donne domenicane.
Quando Trujillo salì al potere, la loro famiglia (come molte altre nel paese) perse quasi totalmente i propri beni, prima nazionalizzati, poi incamerati direttamente dal dittatore nei suoi beni privati. In questo modo, le sorelle Mirabal -Patria, Maria Teresa e Minerva- incarnano negli anni 50, la passione per la libertà e il valore, impegnandosi con decisione nei confronti della lotta contro il governo trujillista.
La ribellione e l’impegno di queste tre giovani donne di fronte alle atrocità del regime, prende via con la costituzione nel 1960 del Movimento 14 Giugno, sotto la direzione di Manolo Travares Justo (marito di Minerva), dove usarono come nome in codice Las Mariposas (Le Farfalle).
Questo gruppo politico clandestino, si espanse in tutto il paese, venne strutturato attraverso nuclei i quali combatterono la dittatura. Nel gennaio del 1960, il movimento venne scoperto dalla polizia segreta di Trujillo e i membri del movimento vennero perseguitati e incarcerati, tra cui le sorelle Mirabal e i loro mariti. Le sorelle vennero liberate alcuni mesi dopo grazie alla pressione internazionale, ma i loro coniugi restarono reclusi. Il 25 novembre 1960, le sorelle Mirabal, andarono a fare visita ai mariti, trasferiti nel carcere della città di Puerto Plata. Le tre donne caddero in un’imboscata degli agenti del servizio segreto militare. Portate in una piantagione di canna di zucchero vennero massacrate, bastonate e strangolate, i loro corpi vennero poi rimessi nel veicolo sul quale stavano viaggiando che venne fatto precipitare per un dirupo per simulare un incidente .
L’assassinio delle sorelle Mirabal provocò grandissima commozione in tutto il paese; la terribile notizia si diffuse come polvere, nonostante la censura, risvegliando l’indignazione popolare. La dittatura di Trujillo finì l’anno dopo con l’assassinio del dittatore.
La sorella sopravvissuta, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani. Per sopportare il dolore, il senso di colpa per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle, diventa custode della loro memoria; nel marzo del 1999 pubblica un libro Vivas in su jardin: Sopravvissi per raccontare la loro vita.
(fonte articolo: comunicazionedigenere.wordpress.com)