La legge 154/2001 “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari prevede una tutela provvisoria per persone in situazione di violenza. È applicabile in quei casi ove un convivente – familiare o non –  usa violenza (fisica, psicologica) ad una persona o  pone in essere un comportamento che crea grave pregiudizio alla salute psico – fisica della stessa o limita la sua libertà.

A seconda della gravità del comportamento (e se vi è reato) la donna può decidere se rivolgersi al Tribunale civile o penale per chiedere, in quest’ultimo caso, alla Procura di adottare un ordine di protezione.

Le singole misure di protezione sono:

  1. ordinare di cessare il comportamento violento;
  2. allontanare per un certo tempo la persona violenta da casa e divieto di avvicinarsi senza permesso del giudice;
  3. divieto di  avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima di violenza;
  4. ottenere che la persona violenta durante il periodo di allontanamento paghi un assegno di mantenimento per moglie e figli se vi è bisogno, ordinando ciò eventualmente al datore di lavoro.

Le misure di protezione hanno una durata predeterminata dal giudice (nel ricorso civile solitamente un anno).

In caso di flagranza (anche nei reati di maltrattamenti in famiglia e stalking – D.L. 93/2013), oltre all’arresto obbligatorio, la Polizia giudiziaria se autorizzata dal PM e se ricorre la flagranza di gravi reati (tra cui lesioni gravi, minaccia aggravata e violenze) può applicare la misura ‘precautelare’ dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Altrimenti è sempre necessario un ricorso al Tribunale civile (con osservanza di determinate regole procedurali) o una denuncia per reato ove la  procura chiederà eventualmente l’applicazione o meno di dette misure.
Questa  legge non prevede l’obbligo per la vittima di farsi assistere da un avvocato, ma essendo la legge di applicazione complicata e avendo l’autore della violenza il diritto ad una difesa è consigliabile munirsi sin dall’inizio di un’ assistenza legale.

Approfondimento

La disciplina relativa agli ordini di protezione contro gli abusi familiari è relativamente recente, in quanto introdotta con la Legge 4 aprile 2001, n. 154, a seguito della quale il codice civile è stato arricchito degli art. 342 bis e ter, mentre nel codice di procedura civile ha visto la luce l’art. 736 bis.

I presupposti

L’art. 342 bis, c.c. prevede che gli ordini di protezione contro gli abusi familiari vengano disposti “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”.

Alla base dei provvedimenti ex art. 342 ter, c.c., pertanto, vi sono due distinte circostanze:

  • la convivenza;
  • una condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica.

 

 

1.La “convivenza”

L’applicazione delle misure di protezione presuppone che la vittima ed il soggetto cui viene addebitato il comportamento violento vivano all’interno della medesima casa, in quanto l’art. 5 della L. 154/2001 fa esclusivo riferimento al nucleo costituito dai familiari conviventi. Tale considerazione muove dal fatto che gli ordini di protezione non hanno soltanto la funzione di interrompere situazioni di convivenza turbata, ma soprattutto quella di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito domestico.

Il requisito della convivenza (inteso come “perdurante coabitazione”) va peraltro inteso sussistente anche quando vi sia stato l’allontanamento, provocato dal timore di subire violenza fisica del congiunto, mantenendo nell’abitazione familiare il centro degli interessi materiali ed affettivi.

Non manca poi un diverso orientamento secondo il quale sarebbe ammissibile la domanda di misure di protezione anche a seguito della cessazione della convivenza.


2. La “condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica”

Va anzitutto evidenziato come il presupposto per la concessione dell’ordine di protezione non è rappresentato, in sé, dalla condotta del convivente nei cui confronti si richiedono le misure di protezione, bensì dall’esistenza di un pregiudizio grave all’integrità fisica, “morale” o alla “libertà personale” patito dal familiare convivente, imputabile (questo sì) in termini causali alla condotta dell’altro.

La circostanza in parola si basa, in altri termini:

  • sulla esistenza di fatti violenti dai quali siano derivate non insignificanti lesioni alla persona, ovvero di una situazione di conflittualità tale da poter prevedibilmente dare adito al rischio concreto ed attuale, per uno dei familiari conviventi, di subire violenze gravi dagli altri, nonché
  • sulla verificazione di un “vulnus” alla dignità dell’individuo di entità non comune, in relazione alla delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, ovvero per le modalità “forti” dell’offesa arrecata e per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso, indipendentemente da qualsiasi indagine sulle cause dei comportamenti violenti e sulle rispettive colpe nella determinazione della situazione.

Autore delle condotte pregiudizievoli può essere sia un coniuge nei confronti dell’altro (anche con l’appoggio e la partecipazione attiva degli altri familiari), sia il genitore verso i figli (anche quando i maltrattamenti non sono commessi direttamente sulla persona del minore, ma indirettamente, nei confronti di stretti congiunti a lui cari) che questi ultimi verso i genitori. La condotta pregiudizievole di regola è caratterizzata dal verificarsi di reiterate azioni ravvicinate nel tempo, consapevolmente dirette a ledere i beni tutelati, e non da singoli episodi compiuti a distanza di considerevole tempo tra loro.

Il decreto protettivo ex art. 342 ter, c.c. non può essere richiesto nel caso in cui vengano “semplicemente” violati i doveri di mantenimento ex art. 143-147, c.c. in quanto tale comportamento configura una mera condotta omissiva. Allo stesso modo, una misura protettiva non può essere concessa in presenza di una mera situazione di reciproca incomunicabilità ed intolleranza tra soggetti conviventi, di cui ciascuna delle parti imputa all’altra la responsabilità, almeno quando i litigi, ancorché aspri nei toni, non siano stati aggravati da violenze fisiche o minacce o non si siano tradotti in violazione della dignità dell’individuo di particolare entità.

Il decreto protettivo non riguarda da ultimo la disciplina del diritto di visita dei figli da parte del genitore destinatario.

Il procedimento

Gli ordini di protezione richiedono l’istanza della vittima, che può essere proposta anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di propria residenza o domicilio, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.

A seguito dell’istanza, si verifica la designazione – da parte del Presidente del Tribunale – del giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso, il quale, sente le parti, procede ad istruire la causa nel modo che ritiene più opportuno, disponendo anche eventuali indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio delle parti a mezzo della polizia tributaria.

Il giudice provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo. In caso di urgenza, l’ordine di protezione può essere assunto dopo sommarie informazioni, con successiva udienza di comparizione delle parti entro un termine non superiore a quindici giorni, in occasione della quale vi è la conferma, la modifica o la revoca dell’ordine di protezione.

Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, o conferma, modifica o revoca l’ordine precedentemente adottato, è ammesso reclamo al tribunale entro il termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione o della notifica del decreto, ai sensi dell’art. 739, comma II, c.p.c..

II reclamo introduce un giudizio avente natura di revisio prìorìs instantiae, con la conseguenza che è inammissibile la produzione di documenti nuovi e la richiesta di assunzione di prove costituende. Del pari inammissibile in sede di reclamo è l’istanza con cui la parte reclamata chiede l’applicazione delle misure previste dall’art. 709 ter, c.p.c. lamentando il mancato pagamento dell’assegno periodico disposto con l’ordine di protezione: in forza dell’art. 669-duodecies c.p.c., l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro – e tale è da considerarsi l’ordine di pagamento del contributo al mantenimento stabilito dal provvedimento di cui all’art. 342 ter, comma II, c.c. – avviene nelle forme degli artt. 491 e ss., c.p.c., ossia mediante l’espropriazione forzata.

Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione: il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile, nemmeno per cassazione (né con ricorso ordinario, né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111, Cost.), giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.

Per quanto non previsto dall’art. 736 bis, c.p.c., si applicano al procedimento le norme comuni ai procedimenti in camera di consiglio (ove compatibili), ex artt. 737 e ss., c.p.c.

Il provvedimento del Giudice

Con il decreto di cui all’articolo 342 bis, c.c., il giudice ordina al convivente reo della condotta pregiudizievole, la cessazione della condotta e ne dispone l’allontanamento dalla casa familiare.

Quali provvedimenti accessori, il Giudice, ove occorra, può prescrivere:

  • all’autore della condotta di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima;
  • l’intervento dei servizi sociali, di un centro di mediazione familiare o di associazioni per il sostegno e l’accoglienza di donne, minori o di vittime di abusi e maltrattamenti;
  • il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dell’allontanamento dalla casa familiare del reo, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e stabilendo, se necessario, il versamento della somma all’avente diritto da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante

Dalla natura accessoria delle misure di protezione di ordine economico discende che, in assenza d’emissione della misura di protezione “non patrimoniale”, il giudice non può – pur rilevando l’inadempimento di uno dei coniugi all’obbligo di mantenimento ex artt. 143-147, c.c. – riconoscere il diritto alla percezione dell’assegno periodico. La provvisorietà dell’assegno periodico previsto – la cui funzione ed efficacia è limitata alla durata dell’ordine di protezione o, comunque, al periodo di tempo anteriore all’eventuale provvedimento successivo emesso dal giudice competente, volto a garantire il diritto al mantenimento di soggetti bisognosi – si evince dal tenore testuale del codice.

Nel caso di condotte pregiudizievole compiute dai figli verso i genitori, ove il soggetto allontanato non abbia una propria autonomia economica, il giudice deve contestualmente disporre a carico dei genitori l’obbligo di pagamento di un assegno periodico ai sensi degli art. 148 e 342 ter, comma II, c.c.

L’eventuale obbligo di versamento dell’assegno previsto dal decreto, in ogni caso destinato a cessare al termine della durata del decreto può essere sostituito dall’eventuale adozione – prima della scadenza del termine di efficacia del decreto – di un diverso provvedimento del giudice competente in materia di affidamento e di mantenimento.

Con riferimento all’intervento dei servizi sociali anche in assenza di figli minori, il Giudice può sollecitarlo allo scopo ad esempio di sostenere il coniuge vittima della condotta pregiudizievole e, se possibile, di ricomporre il nucleo familiare, dando assistenza psicologica a ciascun componente della famiglia coinvolta nella vicenda.

Il decreto stabilisce anche la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso, e che non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario. La mancata indicazione del termine di durata deve intendersi come implicita previsione del massimo stabilito dall’art. 342-ter c.c.

Sempre lo stesso decreto contiene le modalità di attuazione: se sorgono difficoltà o contestazioni in merito, è lo stesso giudice ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.

Con riferimento alla natura del provvedimento, si ritiene che l’ordine di cessazione della condotta e di allontanamento del coniuge violento dalla casa familiare, anche se talora accompagnato da misure a contenuto economico, non è riconducibile né ai provvedimenti cautelari atipici, né a quelli temporanei e urgenti emessi dal presidente del tribunale ex art. 708, c.p.c. Dall’esistenza del rimedio previsto con il ricorso ex art. 342 bis, c.c. consegue che il ricorso ex art. 700, c.p.c., proposto dopo il deposito del ricorso per separazione giudiziale ma prima della udienza presidenziale, volto ad ottenere un ordine di protezione familiare, deve essere dichiarato inammissibile.

(fonte: filodiritto.comdiagnose-gewalt.eu)