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Intervista a Piera Stretti: storie quotidiane fatte di ascolto e di bisogno di aiuto

Alla Casa delle donne di via San Faustino Piera Stretti, presidente della Onlus, racconta le storie quotidiane fatte di ascolto e di bisogno di aiuto. 
L’associazione bresciana nata nel 1989 accoglie giovani donne perseguitate da ex mariti o compagni «Lo stalking esisteva prima che ci fosse la legge» La «Casa delle Donne» si trova in via San Faustino, al civico 38. Un grande e un po’ decadente appartamento con i soffitti affrescati ospita gli uffici dell’associazione creata nel 1989 e trasferitasi in questo immobile poco dopo la sua nascita. Il proprietario dei muri è il Comune di Brescia, cui la Onlus paga un affitto a canone agevolato, rinnovabile ogni quattro anni. Un videocitofono consente di scrutare il visitatore e stabilire se è il benvenuto. Una misura banale ma tranquillizzante, dettata da ragioni minime di sicurezza, nonché un piccolo baluardo a difesa della riservatezza di chi varca la soglia di queste stanze, tutte donne che subiscono maltrattamenti e molestie, alla ricerca, spesso disperata, di aiuto e conforto. Tra loro una consistente percentuale, 33 su 355 nel 2012, già 30 su 240 nei primi sette mesi di quest’anno, è rappresentata dalle vittime di stalking. A Piera Stretti, presidente della Onlus, non è sfuggita la storia drammatica che «Laura» ha affidato alle colonne di Bresciaoggi e neppure gli interventi che ne sono scaturiti nei giorni seguenti. Il suo contributo al dibattito porta elementi di riflessione che derivano da una lunga esperienza e dalla frequentazione quotidiana con questo genere di problematiche. «LO STALKING esisteva già prima del 2009, anno di promulgazione della legge 38 che ha introdotto nel codice penale l’articolo 612-bis», premette Piera Stretti. Esisteva un vuoto legislativo e se n’è preso atto. La norma, da quattro anni, codifica i comportamenti persecutori che configurano il reato e stabilisce le pene per chi lo commette. IL DISEGNO DI LEGGE che è stato approvato giovedì dal Consiglio dei ministri (e immediatamente attuativo), contempla misure volte a dare un inequivocabile segnale di lotta al fenomeno del femminicidio e di contrasto generale alla violenza di genere. Si può affermare che si tratta di un passaggio importante? «Pur comprendendo l’intento del legislatore, mi lascia perplessa l’articolo che prevede l’irrevocabilità della querela perché temo che, alla prova dei fatti, l’impossibilità di ritirarla possa costituire un deterrente, un impedimento ad assumere una decisione fortemente traumatica sapendo che è definitiva, scevra da ripensamenti». Il giudizio sull’estensione delle ipotesi che prevedono l’arresto in flagranza di reato è positivo: «Ben venga, così come l’ampliamento del raggio d’azione delle situazioni aggravanti». Viene anche stabilito che i reati di stalking siano inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito, «una decisione la cui importanza sarebbe sbagliato sottovalutare». «LA VIOLENZA contro la donna, nelle varie forme in cui può esprimersi, è millenaria», per debellarla è giocoforza attrezzarsi con strumenti repressivi e al Governo va dato atto di non avere tergiversato, fermo restando che l’arma più efficace si chiama prevenzione. «Bisogna lavorare avendo come obiettivo un cambiamento culturale, la rimozione di un retaggio antropologico che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che non smette di condizionare, in negativo e trasversalmente, anche società evolute e moderne». Sono le nuove generazioni il terreno su cui occorre seminare, «gli sforzi devono trovare nella scuola il loro alveo naturale», va scardinata la resistenza ancestrale che porta a «non accettare che il sesso femminile goda di piena autonomia e libertà». Nel frattempo, prima che le scorie formatesi attraverso i secoli siano eliminate, la lotta è combattuta sul campo, il fenomeno è da affrontare e circoscrivere adesso, le invocazioni d’aiuto devono trovare risposte immediate. «La Casa delle Donne non è strumento di pronto intervento», dice Piera Stretti sgomberando il campo da possibili equivoci, «se constatiamo che esiste un pericolo reale, tangibile e immediato per l’incolumità del soggetto, non possiamo fare molto se non fornire il consiglio di rivolgersi alle forze dell’ordine». IL LAVORO SVOLTO dalle volontarie mira all’uscita programmata dalla situazione in cui versa la vittima. La prima fase consiste nell’ascolto telefonico, seguita dall’accoglienza, cioè da colloqui in cui sono valutati i diversi interventi possibili e i percorsi da intraprendere. Legali e psicologhe, consulenti dell’associazione, offrono sostegno e competenza, requisito indispensabile per affrontare, con possibilità di successo, situazioni spesso delicatissime. «La prima richiesta che riceviamo, la più pressante, è quella di essere credute», un’esigenza che racconta la difficoltà che l’oggetto delle minacce reiterate incontra nell’essere considerato attendibile dagli interlocutori cui affida le sue dolorose confidenze. Le donne che giungono in via San Faustino «vorrebbero soluzioni immediate e radicali», un’aspettativa quasi sempre disattesa, il corso della giustizia ha scadenze che non possono essere scavalcate, se non in casi particolari. Come giustificare quelle che all’opinione pubblica sembrano lungaggini inspiegabili, incapacità di cogliere la gravità di una situazione, sordità verso campanelli d’allarme che suonano forte e più di una volta? La risposta arriva, pacata come altrimenti non potrebbe essere, perché data da una professionista navigata che ha dedicato un’intera vita alla battaglia contro la violenza di genere. «I casi sono tantissimi e tutti diversi tra di loro – è la premessa del ragionamento – molte delle donne riferiscono di minacce di morte, non è semplice stabilire se e come hanno possibilità di concretizzarsi». POLIZIA E CARABINIERI dovrebbero avere a disposizione mezzi più efficaci, capaci di ridurre la possibilità di un errore irrimediabile. «Uno di questi è già stato testato brillantemente», è un metodo predittivo e si chiama Sara, acronimo in lingua inglese che tradotto significa freddamente «valutazione del rischio nella violenza da partner», uno strumento particolarmente indicato per le decisioni giudiziarie e probatorie. «Vengono ponderati i comportamenti violenti e si stabilisce la probabilità che si ripresentino nuovamente, decidendo in che modo prevenirli sulla base della gravità emersa». I recenti fatti di cronaca, pur nelle loro straordinaria drammaticità, non devono far dimenticare un dato appurato, ovvero che «lo stalker raramente si trasforma in un femminicida», affermazione solo apparentemente in contraddizione con la successiva: «La maggioranza delle vittime assassinate aveva denunciato di aver ricevuto minacce». E’ raro dunque che il persecutore diventi carnefice, ma quasi sempre la donna è uccisa proprio da chi aveva indicato essere il suo aguzzino. La curiosità porta a chiedere se davvero si manifestano situazioni in cui i ruoli maschio-femmina sono ribaltati. «E’ così nel 15 per cento dei casi – spiega la presidente della Casa delle Donne – ma si tratta sempre di molestie attraverso telefono o posta elettronica, qualche volta si traducono in danneggiamenti all’automobile del malcapitato o ad altri beni di sua proprietà, mai tuttavia si è arrivati a mettere in discussione l’incolumità fisica». Si sono verificate, molto sporadicamente, anche situazioni configurabili come stalking reciproco, un crescendo continuo di dispetti e di torti in cui le parti ricoprono contemporaneamente i due ruoli scritti in copione. TRA LE TANTISSIME idee, tradotte in iniziative, Stretti mostra l’Agenda Viola, parte del progetto «Ascoltare la paura, salvare la vita». E’ stata pensata appositamente per essere usata nei casi di stalking, per segnare quotidianamente fatti significativi e il proprio stato d’animo: in questo modo la vittima potrà valutare e monitorare meglio la situazione, e le sarà più facile esporre la sua storia alle forze dell’ordine o alle operatrici dei centri antiviolenza. Ma c’è un consiglio da dare quando nascono i primi sospetti, quando un gesto, un atto o una parola lasciano intravedere la possibilità di un escalation pericolosa, come ci si deve comportare per disinnescare la «strategia del ragno»? Un «no» pronunciato forte e chiaro, deciso e senza tentennamenti è la mossa migliore. Può sembrare ovvio e scontato, ma «troppo spesso non accade, nel timore di avere male interpretato, per una forma di timidezza o per mancanza di coraggio», rivela Stretti. Farlo subito può essere l’antidoto più efficace, la barriera per il molestatore. L’INCONTRO con Piera è giunto al termine, per tutta la sua durata, un’ora circa, non si è mai interrotto l’andirivieni delle persone che prestano la loro opera, il telefono ha squillato più volte, in una sala attigua, ma nascosta agli occhi del visitatore, era in corso un colloquio, presumibilmente difficile. Per tante, troppe donne, non è tempo di vacanza, neppure in agosto.[divider_padding]

Articolo di Mauro Zappa, pubblicato su BresciaOggi.it 

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